La resa Ex Works nel nuovo codice doganale dell’Unione
Il Reg. UE 952/2013 (Codice Doganale dell’Unione) entrato in vigore il 01-05-2016 insieme al regolamento delegato 2446-2015 ha, tra le altre cose, riformulato e ridefinito la figura di Esportatore.
L’introduzione di una definizione positiva di esportatore (art. 1, n. 19 del Regolamento Delegato (UE) 2015/2446 del 28 luglio 2015) rappresenta un profilo innovativo rispetto alla disciplina previgente, che è stata peraltro oggetto di recenti chiarimenti ad opera dell’Agenzia delle Dogame e dei Monopoli (Nota del 7 luglio 2016). Infatti, tale definizione emergeva solo indirettamente dalla norma che prevedeva le modalità di compilazione della dichiarazione doganale (art. 788 del Regolamento n. 2454/93 del 2 luglio 1993).
In tale contesto si considerava esportatore colui per conto del quale era fatta la dichiarazione di esportazione e che al momento della sua accettazione era proprietario o aveva un diritto similare di disporre delle merci. Tuttavia, la parte contraente comunitaria assumeva la qualifica di esportatore se la proprietà o un diritto similare di disposizione delle merci apparteneva a una persona stabilita in un Paese terzo sulla base del contratto che determinava l’esportazione delle merci. Ciò rendeva evidente la volontà legislativa di individuare un referente comunitario per le operazioni di esportazione.
Ai sensi della nuova disciplina chi assume la veste di esportatore deve rispettare una serie di requisiti che sono elencati nell’art. 5, punto 31 del Reg. UE 952/2013, il primo requisito è di natura territoriale: l’esportatore deve essere stabilito nell’Unione, nel senso che o la sua sede principale deve trovarsi fisicamente nel territorio dell’Unione, oppure deve esserlo la sua amministrazione centrale oppure, ancora, deve essere presente nell’UE una stabile organizzazione intesa come una sede fissa di affari strutturata per svolgere le operazioni doganali (art.5 punto 32 del codice).
Oltre al requisito della territorialità l’art. 1 punto 19 lett. A) e c) del Reg. Ue n. 2446/15 – regolamento delegato – statuisce che l’esportatore deve essere titolare del contratto concluso con il destinatario extra unionale e deve essere in possesso della facoltà di decidere che le merci devono essere trasportate presso un soggetto che si trova al di fuori del territorio dell’Unione.
A ben vedere è proprio questa seconda previsione normativa che va a vanificare l’esistenza e la congruità della clausola incoterms ex works nell’ambito delle transazioni extra unionali.
Colui che emette una fattura franco fabbrica (cfr ex works) si limita a mettere a disposizione del compratore la merce con i relativi documenti commerciali nei propri locali con la conseguenza che tutte le attività di presa in carico della merce, di trasporto e le formalità doganali di uscita e di entrata sono a carico del compratore non residente nell’UE.
A questo punto ci troviamo di fronte ad un impasse in quanto da un lato colui che vende non può essere definito esportatore per carenza del requisito della facoltà di decidere che le merci debbano essere trasportate all’estero (ex art. 1 punto 19 lett. a) e c) del Reg. Ue n. 2446/15) – la resa exw, come detto, implica soltanto mettere a disposizione il venduto al destinatario negli spazi del venditore -, dall’altro neppure l’acquirente extra unionale può essere considerato esportatore in quanto carente sotto il requisito della territorialità (ex art. 5, punto 31 del Reg. UE 952/2013). L’inevitabile epilogo di tale stallo si estrinseca con la decadenza di coloro i quali emettono fatture con resa franco fabbrica dal diritto di beneficiare della non imponibilità iva ex art. 8 del dpr 633/72 con ovvie conseguenze in materia di competitività per le aziende emittenti fatture ex works.
Dato l’improprio perdurare delle transazioni con resa franco fabbrica e, onde evitare la paralisi degli scambi con l’estero, l’Agenzia delle Dogane è intervenuta in materia con un correttivo: la nota n. 70662 RU del 07-07-2016. Con tale provvedimento l’Amministrazione ha stabilito che :“Nell’ipotesi di esportazione di merce acquistata nell’Unione europea con resa EXW e trasporto a cura o nome dell’acquirente di un paese terzo, quest’ultimo in quanto soggetto non stabilito nell’Unione, non può assumere la veste di esportatore, così come definito dall’art.1 punto 19 del RD e deve nominare un rappresentante doganale indiretto stabilito nella UE per la presentazione della dichiarazione doganale di esportazione.
Nella casella 2 del DAU come esportatore sarà quindi indicato il codice EORI del venditore stabilito nella UE, in quanto titolare del contratto di vendita con il soggetto acquirente stabilito in un paese terzo ed in possesso della facoltà di decidere, sulla base delle condizioni pattuite con detto contratto al momento della vendita, che le merci devono essere trasportate a cura dell’acquirente verso una destinazione situata al di fuori del territorio doganale dell’Unione, condizione richiesta dell’art. 8 primo comma lett. b) del D.P.R. n 633/72 per l’applicazione della non imponibilità IVA sulla cessione all’esportazione.
La condizione richiesta dalla norma per la qualifica di esportatore al momento dell’accettazione della dichiarazione doganale circa “la facoltà di decidere che le merci devono essere trasportate verso una destinazione situata al di fuori del territorio doganale dell’Unione” può ritenersi soddisfatta nel caso di specie in quanto la vendita è stata effettuata alla condizione che le merci siano trasportate dall’acquirente estero o per suo conto al di fuori del territorio doganale dell’Unione e quindi implica di per sé in capo al venditore la facoltà di decidere sulla destinazione finale della merce”.
Tale correttivo, a parere di chi scrive, non permette di superare le criticità insite nella vendita franco fabbrica. In questi casi, infatti, l’esportatore affida de facto l’assolvimento delle formalità doganali e le relative responsabilità fiscali ad esse connesse ad un terzo entrando effettivamente in una spirale di gravose ricerche della bolla doganale emessa a suo nome col proposito di verificare l’effettiva uscita della merce dal territorio dell’Unione entro i 90 giorni come per legge ai fini del perfezionamento della non imponibilità iva.
Ancora una volta appare più opportuno utilizzare almeno una clausola incoterms FCA con la quale il venditore si obbliga a consegnare la merce al vettore incaricato dal compratore ma soprattutto si obbliga a provvedere direttamente ad effettuare le formalità di esportazione a propria cura con l’ovvia conseguenza di entrare subito in possesso della documentazione doganale e di essere consapevole della propria fiscalità con l’estero.
Dr. Davide Paci
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